I sei del Taburno
- Alfonso Calabrese
- 24 ott
- Tempo di lettura: 6 min
Aggiornamento: 29 ott
11,8 km: 410 md+: traccia; relive; video cartoon;
Era un fine ottobre di quelli strani. Giornate di freddo autunnale si alternavano a momenti di caldo quasi estivo. Le previsioni meteo erano inaffidabili. Scenari di sole mutavano in pioggia e poi tornavano ad annunciare il sereno. In un contesto così variabile era poco prudente organizzare un'escursione in alta montagna. Ma il team Bike&Ski nel passato aveva sempre dimostrato un coraggio fuori dal comune. E anche stavolta non si lasciò intimorire.
Alfonso predispose un corto anello di 18 km, con partenza da quota 1031 metri, poco sopra il santuario della Madonna del Roseto, nel parco del Taburno Campo Sauro, nei pressi di Solopaca. Con Alfonso, all'avventura parteciparono cinque impavidi bikers, alcuni dei quali mancavano all'appello da numerosi mesi. Agli assidui Raimondo, Mario e Francesco, in quel giro che si dimostrò arduo e pieno di contrattempi, si unirono Fabio e Andrea. Contenti di tornare ad inforcare le loro bikes, non sapevano a cosa sarebbero andati incontro. Il racconto che seguirà sarà un susseguirsi di difficoltà, cadute, rotture meccaniche, perdita dell'orientamento, il tutto in una fitta nebbia che si alternava a scrosci di pioggia gelida. Un giro che ebbe un finale complicato, anche dopo aver raggiunto le auto. A causa degli eventi che qui narriamo, il giro venne accorciato a soli 12 km.
Dodici chilometri di tormento e paura.
Come da tradizione, anche quella volta, il gruppo si ritrovò al bancone di una bar (Bar Torello a Melizzano). Qui uno dei desaparecidos, Fabio, che in settimana aveva festeggiato il compleanno, offrì il caffè ed un paio di cornetti (si veda prova fotografica con tanto di scontrino fiscale). Anche in quell'occasione Mario chiese di suddividere la sua metà cornetto (già minuscola) in altre due metà. Questa della metà della metà è una sua ossessione. Lui dice sia per mantenere la linea. I più pensano che sia un rito propiziatorio vudù per indurre il fango a non sporcare la sua bici. Ad ogni modo, almeno quella volta, il rito non ebbe successo.

Lasciato il bar Torello, il gruppo si diresse in auto in direzione Solopaca per poi prendere una stretta e ripida stradina per il santuario. Cominciando a salire, le macchine vennero avvolte da una fitta nebbia. Arrivati al santuario, la carovana delle auto dei nostri sei intrepidi bikers continuò la sua corsa tra i tornanti fino ad una radura. Qui Alfonso aveva fissato il "campo" base.


L'operazione di set-up fu rapida ed i nostri eroi si misero in sella prima delle 9. Visibilità di pochi metri. Alfonso richiamò all'ordine gli amici che, avvolti dalla nebbia, stavano partendo ognuno in una direzione diversa. "Ragazzi, il giro parte da qui", indicando una ripida salita. I primi 1500 metri furono ripidi (10-15%), su fondo asfaltato e parzialmente coperto da foglie. Poi l'asfalto lascio il posto al terreno, con pendenze un filo meno impegnative.
Nel bosco improvvisi scrosci d'acqua tormentavano i bikers. Non era pioggia. Bensì le folate di vento gelido scrollavano le alte chiome degli alberi, intrisi d'acqua delle piogge dei giorni scorsi. L'acqua e le tante foglie avevano reso viscido il fondo e tante furono le cadute o le quasi cadute. Era chiaro a tutti che il giro sarebbe stato complicato. Dopo una breve discesa si susseguirono nuovi tratti di salita, sottolineati uno per uno da Raimondo / Peppe di Solopaca. Sempre con visibilità molto ridotta i sei arrivarono ad una prima radura, sempre con l'attenta regia di Alfonso che consultava il suo Garmin ogni 10 metri. Dopo la radura piegarono sul sentiero di destra.
Di nuovo in salita, i tre "muscolari" continuarono imperterriti a pedalare. Andrea, che rientrava dopo un infortunio alla caviglia, sembrava reggere bene. Francesco, sempre con il suo ginocchio malridotto, avanzava con ritmo compassato. Raimondo invece era già in chiara difficoltà. Ma fermo, stoicamente, Peppe del Roseto rifiutava la bici elettrica, che Alfonso gli proponeva in una sorta di alternanza del dolore. Poi, stremato, si lasciò convincere e proseguì per poche centinaia di metri su quella di Fabio.
Non solo per Raimondo, il sentiero si fece sempre più arduo. Superare ogni singolo metro, tra viscide radici e pozze di fango era sempre più arduo. E persino Mario aveva smesso di lamentarsi per il fango, proseguendo lentamente, avvolto nella nebbia. A quel punto Alfonso decise di accorciare il giro, e subito dopo aver superato un grosso tronco che sbarrava il sentiero, portò il team nuovamente su asfalto fino ad un abbeveratoio. Dopo essersi ricaricati e riposati, una nuova salita minò le residue energie del team. Ma Fabio supportò l'esausto Raimondo, spingendolo fino alla cima della strada. Di qui sempre per accorciare il giro, Alfonso imboccò un nuovo sentiero su sterrato. In salita.
"Ragazzi siamo nella seconda metà del giro !", urlò il direttore nella nebbia. Questa notizia sortì l'effetto di un raggio di speranza tra le chiome del fitto bosco. Un barlume di ottimismo. Ma il peggio sarebbe arrivato dopo pochi minuti.
Mentre affrontava un tratto in falso piano, il cambio della Specialized di Fabio cedette. La situazione era subito chiara e molto seria. Il team era a 10 chilometri dalle auto. Nel fitto del bosco. Su un sentiero poco battuto. Bici compromessa. E dopo pochi secondi una nuova folata portò uno scroscio di pioggia gelata sulle teste dei nostri affranti bikers.

Ma le difficoltà sono il carburante del team Bike&Ski. Lì dove in tanti si sarebbero lasciati prendere dallo sconforto, il team sembrò rinascere.
Francesco dopo una breve analisi, propose di rimuove il cambio e ridurre la lunghezza della catena. Il piano era complesso ma fattibile, purché fossero disponibili i giusti attrezzi. Il Direttore apri il suo zainetto "Eta-Beta" style e tirò fuori smaglia-catena, pinze e fascette. Con il contributo di un terzo ferrista, Andrea, e video-ripresi da un ringalluzzito Mario, in pochi minuti la Specialized fu trasformata in una "Graziella" a scatto fisso. Il team poteva ora riprendere il giro, ma con il rischio latente che la catena si spezzasse, lavorando in condizioni non ottimali.
Il giro proseguì. Dopo poco meno di 3 chilometri ad un quadrivio, Andrea e Mario indicarono a sinistra, ma Alfonso propose di proseguire verso Nord. Era la direzione sbagliata. Con il segnale GPS scarso, Alfonso si rese conto dopo duecento metri di essere fuori rotta. Il gruppo tornò indietro. Ma con il segnale ancora assente, la domanda era "Dove andare ?". La decisione era importante: la pioggia si era fatta battente e Fabio era costretto a spingere in salita con la catena spezzatasi definitivamente pochi minuti prima.
Alfonso, forte della sua Cube motorizzata Bosh, decise di seguire tutte le possibili direzioni e verificare se, anche di poco, il Garmin segnalasse la giusta direzione. All'ultimo tentativo, bingo. Il direttore aveva ritrovato la strada.
Fabio volle immortalare il momento con un seflie di gruppo. Sottotitolo: "Per gli eventuali soccorritori: eravamo qui !".
Il gruppo proseguì in modo incerto, ma mantenendosi in traccia, fino ad intravedere in lontananza il campo base e le auto. Completamente fradici e pieni di fango, iniziarono a smontare le bici e a caricarle in auto. Il primo a terminare fu Fabio, arrivato nel suo imponente crossover ibrido. Fabio aveva molta premura, dovendo recarsi all'aeroporto per prendere il figlio in arrivo da Milano.
Ma la pesante macchia affondò nel fango: le ruote anteriori motrici cominciarono impietosamente a slittare.
Il team provò a spingere, ma la macchina non si mosse di un centimetro. Provarono ad infilare sotto le ruote pietre, rami e perfino il teschio di un bovino, ritrovato a pochi metri (forse un presagio di sventura ?). Ma niente. Mario tirò fuori una fascia di nylon e propose di trainare l'auto di Fabio con il suo potente Pick-up FORD. Alfonso ed Andrea provarono invano a trovare l'anello di aggancio. Aprirono sportellini segreti nel parafango anteriore e posteriore e cercano di avvitare un perno ad anello trovato nella VW di Andrea. Ma niente, non ci fu modo di agganciare l'auto di Fabio in modo saldo.
E poi arrivò il "raggio" di sole. Questa volta l'illuminato fu Andrea, che propose di rimuovere la terra che si era accumulata davanti alle ruote posteriori. Questo accorgimento, unito ad altre pietre e rami sotto le ruote anteriori ed una robusta spinta di tutti e cinque gli atri bikers, riuscì a far riprendere grip e l'auto uscì dal pantano. Felici di aver risolto quest'ultimo problema, tutti saltarono in auto e si misero sulla via di casa.
Cosa dire di più. Le grandi avventure sono solo per i grandi bikers.
Lunga vita al team Bike&Ski.















































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