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La maledizione del dragone

  • Immagine del redattore: Alfonso Calabrese
    Alfonso Calabrese
  • 9 lug 2022
  • Tempo di lettura: 6 min

Aggiornamento: 17 giu 2024

33km; 870md+: relive; traccia

Il titolo lascia presagire l'esito non proprio positivo di questa avventura. Premettiamo che tutti i componenti del gruppo sono sani e salvi, con qualche acciacco e ingenti danni ad una delle bici.

Ma andiamo con ordine e cominciamo dall'inizio.

Dopo settimana di caldo intenso, questo secondo weekend di luglio sembra essere meno torrido e decidiamo di riprendere le nostre avventure con un anello in terra irpina. Partenza ed arrivo nel paesino di Volturara Irpina. Il percorso, disegnato da Alfonso, è abbastanza duro con 34 km ed un'ascesa totale vicino ai 1000 m, di cui più della metà su sterrato. In settimana Raimondo sembrava scettico ma, alla fine, il piano viene approvato, anche se solo in 3 (Alfonso, Francesco e Raimondo) decidono di misurarsi con questa nuova sfida.

Come detto la partenza è a Volturara, in prossimità di un vasto altipiano, conosciuto come la piana del dragone. Qui di seguito il percorso originario, percorso che però sarà stravolto visti i contrattempi che i nostri eroi dovranno superare: in effetti vedremo che i nostri 3 bikers rischieranno di non tornare, forse colpiti dalla ... maledizione del dragone.


Alle 8.50 Alfonso, Raimondo e Francesco sono pronti a partire dalla piazza principale di Volturara. La temperatura è piacevolissima, anzi sentiamo persino freddo e siamo costretti ad indossare un kway!



Incollati sulla traccia percorriamo i vicoletti del paesino irpino, salutati ed incoraggiati da dei simpatici vecchietti (in realtà con pochi anni più di noi).

Raimondo chiede se la strada verso la vetta sia giusta, il gentile volturaranese (si dirà così ?) annuisce facendo però capire che la salita è bella tosta. Infatti dopo aver lasciato l'abitato ci immettiamo in un ripidissimo sentiero pedonale, che si inerpica lungo una gola in mezzo a due costoni di roccia.



Dopo pochi minuti (che sembrano eterni vista la pendenza), arriviamo su una stradina asfaltata. Pur pedalando ancora in salita, con il fondo compatto lo sforzo si riduce. Dopo 1 km Alfonso indica di svoltare in un viottolo nel bosco, quindi torniamo sullo sterrato. Qui dopo 200 metri di pedalata in falso piano siamo costretti a scendere e trascinare le bici lungo un sentiero pieno di pietre. Siamo in traccia, ma non si pedala. Alfonso rassicura che di lì a breve si tornerà su asfalto, ma i volti di Raimondo e Francesco sono tutt'altro che sereni. Questa volta i loro dubbi sono ingiustificati, dopo poco infatti ritorniamo su asfalto che percorriamo per circa 5 km,

Ci fermiamo in un paio di punti dove ammiriamo il panorama del Terminio e dei monti Picentini, in direzione sud ovest.


Il cielo non è del tutto sereno. Nuvoloni grigi avvolgono le Punte di Laganello (1468m), la cima che stiamo scalando. Le gambe sono già affaticate, per l'asprezza del percorso ma anche per il lungo periodo di inattività. E siamo al km 7 di 34 !

La strada continua a salire. Numerose frane rendono il fondo non più percorribile alle auto. Noi zigzaghiamo e continuiamo a seguire il nostro percorso.

Dopo poco l'asfalto finisce e inizia una strada bianca ed ancora tante pietre. Pedalare è sempre più difficile e per lunghi tratti siamo costretti a scendere e trascinare le nostre bikes.


Entriamo poi in un fitto bosco di castagni e faggi. Pedaliamo, ma siamo costretti a fermarci per riposare e mangiare qualche barretta energetica. Il primo "uagliu' vulissem' turna' arret !" del nostro Peppe del Terminio, echeggia nitido nel fitto bosco. Ma è solo uno sfogo, dopo la sosta ci rimettiamo in sella e continuiamo a salire.

Al km 9 arriviamo alla prima fonte, Acqua delle Logge. Riforniamo le nostre borracce e ripartiamo.



Ora il sentiero è meno ripido. Alle salite si alternano lunghi tratti pianeggianti. Lo scenario è molto bello. Il bosco è incontaminato, molto fitto e la luce a stento filtra tra i rami. La temperatura è di circa 15°, piacevolissima.




Al km 12 arriviamo alla Case degli Uccelli, un casale di epoca fascista con tanto di stemma. E' il punto più alto del percorso di oggi. Adesso inizia la discesa e con essa la nostra odissea. Fa freddo. Francesco ha solo un wind-stop smanicato, poco indicato ora che si scende. Alfonso, che previdente porta sembra un scorta di tutto, tira fuori dal suo zainetto "etabeta" un kway bianco, che Francesco indossa subito prima di lanciarsi in discesa. Senza voler spoilerare quello che avverrà di li a poco, ma possiamo anticipare che il giorno dopo Alfonso è riuscito a togliere tutte le macchie di sangue da questo kway.

Ripartiamo. Il sentiero è ora molto meno riconoscibile. Restiamo vicini per non perderci ed attraversiamo un primo tratto di slalom, tra gli alti fusti dei faggi. Attraversiamo un tratto dove superiamo dei tronchi caduti e poi ci lanciamo su un tratto in forte discesa.


Qui Raimondo prende velocità a si allontana dal gruppo. Lo ritroviamo dopo poche centinaia di metri mentre percorre una leggera salita. Abbiamo seguito il sentiero indicato dai simboli CAI su alberi e pietre, ma Alfonso si rende conto che non siamo più sulla traccia prevista dal suo piano. La traccia sembra seguire una direzione parallela al sentiero dove siamo, ma più a valle. Dal nostro punto di vista non scorgiamo però alcun altro sentiero. Decidiamo quindi di seguire questa nuova via, che ad ogni modo dovrebbe ricongiungersi più avanti con il percorso originario. Continuiamo a scendere. Il fondo è molto irregolare, pieno di grosse pietre bianche e rami spezzati.

Raimondo è sempre in testa, tallonato da Francesco che segue con destrezza la linea di Raimondo. A chiudere Alfonso, che controlla la sua mappa e cerca di capire se e quando riusciremo a tornare nel mondo civile.

Raimondo salta un sasso e sterza sulla sinistra, Francesco rallenta. La sua ruota posteriore viene trafitta da un grosso ramo, nascosto nel fogliame che ricopre il fondo del sentiero. Un cupo e metallico "crack" risuona nel silenzio del bosco. Francesco arresta la bici e si piega sul suo lato destro. Alfonso, che lo seguiva a distanza di sicurezza, riesce a fermarsi pochi passi prima. Lo scenario è raccapricciante: il tronco a fatto saltare 4 raggi della ruota, che ora è totalmente sghemba e, cosa ancor più grave, piegato il deragliatore del cambio.

Siamo nel mezzo del bosco, su un sentiero sconosciuto, senza campo al cellulare ed una bici che non può riprendere la marcia.

Ma noi ne abbiamo passate tante e non ci perdiamo d'animo: Alfonso tira fuori pinza e multi-tool e con Francesco effettuano una valutazione sui danni ed le possibili riparazioni di fortuna. La prima cosa da fare e di riportare la ruota in asse. Francesco con l'ausilio della pinza tende i raggi opposti a quelli spezzati e riesce a recuperare gran parte della deformazione. La ruota è comunque sghemba, ma gira senza toccare il telaio. Primo problema risolto. Ora si passa alla parte della trazione. Il cambio è deformato e non consente alla catena di girare. Francesco prova a contro deformare il forcellino ma un secondo funesto "crack" segnale che la manovra non è riuscita. Rottura del cambio. Ora non possiamo fare più nulla. Intanto i più attenti lettori del blog si staranno chiedendo che fine abbia fatto Raimondo. Beh non c'è da preoccuparsi. Il nostro mitico Peppe, consapevole del valore di Francesco ed Alfonso in materia di riparazioni meccaniche, attende i risvolti seduto più avanti su una pietra riscaldata da un raggio di sole.

Con il cambio rotto, l'unica opzione è smontare il tutto, aprire la catena ed accorciarla, rendendo la bici a cambio fisso (tipo Graziella). Per fare ciò serve però uno smaglia catena ed una falsa maglia, che Alfonso ritrova rapidamente nel suo zainetto. Francesco, molto abile nelle riparazioni, smonta il cambio, sistema il filo moncone ed apre la catena. La chiusura è molto più complessa e durante un tentativo, il dito indice di Francesco rimane incastrato tra catena e ruota dentata, mentre Alfonso provava una pedalata a vuoto. La vista degli schizzi di sangue e l'urlo sordo di Francesco forse non giungono al nostro Raimondo, che mantiene la sua posizione orizzontale, continuando a prendere il sole serenamente. Il danno al dito è superficiale: Alfonso tira fuori garze e disinfettante. Dopo essersi tamponato, come un novello Rambo, Francesco torna a smanettare con la sua catena.

Finalmente risolviamo. Catena chiusa su un rapporto intermedio. Ci rimettiamo in moto. A questo punto, con una bici ed un biker menomati, la priorità è ritrovare una strada asfaltata, dove poi tornare alle auto. Peppe prende il comando e forte del suo Google Maps (ora il campo è tornato) ci fa pedalare nella direzione della strada. Durante il percorso in discesa, Francesco è costretto nuovamente a fermarsi. La catena non aveva la giusta tensione. Una vibrazione la scavalla su un rapporto più duro, che la tende oltre misura. Il terzo "crack" della giornata, ovvero la rottura delle catena sancisce che d'ora in avanti Raimondo ed Alfonso dovranno trascinare Francesco nei tratti in piano o in salita. Dopo poco arriviamo sull'asfalto e un motocilista ci indica la strada per Volturara, rincuorandoci che è tutta in discesa.

Scendiamo quindi senza problemi sino a circa 2km dal paese. Qui Raimondo ed Alfonso, a turno, trascinano l'amico Francesco fino alle auto, lambendo la piana del dragone, che oggi, non sappiamo perché, ha deciso di indirizzarci la sua maledizione.


Alla fine arriviamo abbastanza stremati alle auto. Questa volta l'avventura è andata storta, con alcune centinaia di euro di danni per il buon Francesco. Ma come sempre siamo pronti a rimetterci in sella e scalare una nuova montagna. Alla prossima avventura con il team Bike&Ski.


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